Microbiota industriale: quando il cibo ultraprocessato mette a rischio la salute intestinale

Negli ultimi decenni, l’alimentazione tipica delle società industrializzate ha cambiato in modo profondo la flora intestinale di milioni di persone. A causa del consumo eccessivo di alimenti ultraprocessati e poveri di nutrienti, sempre più individui hanno sviluppato quello che gli esperti chiamano “microbiota industriale”.
Si tratta di una comunità di batteri intestinali impoverita e meno diversificata, che si è adattata alle abitudini alimentari moderne. Questo squilibrio, secondo studi recenti, potrebbe essere uno dei principali fattori alla base dell’aumento costante delle malattie autoimmuni negli ultimi trent’anni.
La dieta mediterranea, al contrario, grazie al consumo regolare di legumi, verdure, frutta, cereali integrali, semi oleosi e pesce, favorisce l’equilibrio del microbiota e rappresenta uno dei motivi per cui è associata a longevità e benessere.
Batteri intestinali e alimentazione: un equilibrio delicato
Il microbiota trae nutrimento dai residui degli alimenti che consumiamo. A seconda della dieta, alcune specie batteriche si rafforzano mentre altre rischiano di ridursi fino a scomparire.
I prodotti ultraprocessati mancano spesso dei MAC (Microbiota-Accessible Carbohydrates), ossia i carboidrati accessibili al microbiota che nutrono i batteri probiotici. Questi preziosi nutrienti si trovano principalmente nelle fibre delle piante commestibili: legumi, cereali integrali, frutta fresca e secca, verdure e semi.
Quando tali fibre sono assenti, la quantità di batteri benefici diminuisce. Il meccanismo alla base è il cosiddetto quorum sensing, una sorta di regolazione naturale con cui i batteri limitano la propria crescita in base alle risorse disponibili. Ciò comporta una ridotta produzione di vitamine e acidi grassi che rafforzano le pareti intestinali, lasciando spazio invece a germi potenzialmente dannosi. Questo fenomeno è noto come “sindrome da insufficienza microbiotica”.
Il paradosso dei cibi industriali
Il dato più paradossale è che, sebbene le dispense degli europei e degli americani siano sempre piene, lo sono spesso di alimenti che non nutrono i microrganismi intestinali.
I batteri probiotici non traggono beneficio da snack confezionati, salumi o merendine: il loro “carburante” naturale sono i resti di alimenti genuini come spinaci, mele e piselli.
Questo dimostra come, nonostante la disponibilità abbondante di cibo, rischiamo di affamare il nostro microbiota, compromettendo la salute e favorendo l’insorgenza di patologie legate allo squilibrio intestinale.